Milano – Quella di Giulio Tremonti al Corriere della Sera è una lettera accorata, dagli accenti, come lui stesso ricorda, patriottici. Ma, soprattutto, la missiva pubblicata dal quotidiano milanese, è un decalogo per uscire dalla grave crisi nella quale l’Italia sta per entrare per suoi ritardi storici e a causa del Coronavirus. “Caro direttore – scrive Tremonti – dall’Italia la mia patria, ho ricevuto molto. Anche per questo sento oggi il dovere di sdebitarmi. Qui lo faccio sulla base di quanto ho imparato in tanti anni. Scrivo quanto segue nella speranza che sia possibile evitare Alitalia una gravissima crisi, prima finanziaria, poi economica, infine sociale e politica”.
Fatta una breve introduzione storica sui rischi ai quali il nostro Paese è da tempo esposto, l’ex Ministro delle finanze entra più nella parte tecnica della sua analisi: “L’Italia – scrive – è un paese che è già un enorme è crescente debito pubblico, che ha un prodotto intero lordo che non solo stagnante ma da qui in avanti drammaticamente calante. Non si tratta di limiti imposti dalle regole contabili europee, queste ormai sospese, ma di limiti imposti dal mercato finanziario internazionale, su cui sarà necessario percorrere un sentiero sempre più stretto, più buio, più pericoloso, disseminato da aste trappola, dallo spettro del default, da Troike e altri orrori”.
Prima di entrare nel merito della sua proposta, con il ragionamento schematico tipico dell’economista, Tremonti ricorda tre aspetti fondamentali: 1) occorre escludere l’introduzione di una tassa patrimoniale, i cui effetti negativi prodotti sarebbero peggiori di quelli positivi; 2) escludere l’uscita dalla lira, perché è una strada tecnicamente impercorribile; 3) l’Italia è vero che ha un grande debito pubblico ma è anche vero che ha un grande export. Sulla base di queste premesse il Professor Tremonti fa la sua proposta concreta.
Anche questa divisa in punti. Per Tremonti occorre: “a) lanciare un “piano di difesa e ricostruzione nazionale“. Un piano che nel suo senso civile e politico non sarebbe poi troppo diverso da quello lanciato nel 1948 con grande successo, sottoscritto da quel guardasigilli Togliatti che lo accompagno con questa frase: “il prestito darà lavoro agli operai. Gli operai ricostruiranno l’Italia“. La realtà – ammette quindi Tremonti – è oggi molto Diversa dall’ora, ma lo spirito può e deve essere lo stesso. Un piano basato sull’emissione di titoli pubblici a lunghissima scadenza, con rendimenti moderati ma sicuri e fissi, garantito da sottostante patrimonio della Repubblica (per cui si può e si deve introdurre un regime speciale, anche urbanistico), titoli assistiti, come un tempo è stato felice da questa formula: “esenti da ogni imposta presente e futura“.
L’ex ministro del Governo Berlusconi va avanti descrivendo il punto B della sua proposta: “se funziona questo piano – dice – può essere la base non solo per evitare il peggio, ma anche per andare verso il meglio, per entrare nella nuova epoca, incerta, ma non necessariamente negativa che ci si apre. Perché questo sia, serve uno Stato che fa seriamente lo Stato; serve un settore privato che funzioni una volta che gli hai garantito il massimo possibile grado di libertà: tutto è libero tranne ciò che è vietato dalla legge penale e non con me oggi dove tutto evitato per principio salvo alcune graziose concessioni. E in questi termini che si può infine canalizzare raccolta di capitali fatti con il debito pubblico verso necessari i nuovi investimenti pubblici”.
Quindi, con il punto C, Tremonti arriva alla conclusione del suo ragionamento: “tutto quanto sopra è certo discutibile e perfezionabile. In ogni caso è comunque essenziale che tutti insieme, e ora più che mai, si abbia una protezione patriottica, comunitaria e sociale, il sentimento di essere parte di una stessa patria perché ancora una volta nella nostra storia è arrivato il momento dell”unum necessarium”.
(Associated Medias – Red/Giut)