di Velia Iacovino
Il Kuwait progetta un nuovo futuro. Un complessivo piano di riforme e di rinnovamento al quale sta lavorando a pieno ritmo e a tutti livelli, anche diplomatico. Ed è propria la diplomazia uno dei suoi punti di forza. E’ stato infatti non a caso grazie alla sua capacità di mediazione che lo scorso 5 gennaio si è arrivati all’accordo di al Ula, che ha segnato la ripresa delle relazioni tra Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain ed Egitto e il Qatar, che si è visto finalmente cancellare l’embargo che era stato imposto nel giugno del 2017 a Doha, accusata dai suoi vicini e alleati di finanziare gruppi islamisti e di avere intensificato i suoi rapporti con l’Iran.
Il Kuwait per risolvere questa difficile crisi è riuscita a mobilitare sia l’amministrazione Trump che aveva contribuito a scatenarla che il Consiglio di Cooperazione del Golfo, organismo di promozione dell’integrazione in tutti i settori dei sei paesi dell’area nato nel 1981 proprio dietro suo impulso. Alla fine l’emirato è riuscito nell’intento. “ Il mio Paese è da sempre favorevole al mantenimento della pace e del dialogo e della sicurezza reciproca”, ha sottolineato nel corso di un incontro con alcuni giornalisti nella sua residenza privata, l’ambasciatore dell’emirato in Italia, Sheikh Azzam Mubarak Sabah al Sabah, che ha fatto capire anche di sperare molto per la stabilità della regione nella nuova amministrazione americana di Joe Biden, erede del presidente Barak Obama. Il diplomatico ha tenuto a ricordare, a questo proposito, che il Kuwait ad esempio non era per nulla contrario all’accordo sul nucleare iraniano del 2015 e che lui stesso, che in quel momento era ambasciatore in Bahrein, si adoperò per sostenerlo.
L’emirato, che, nel complesso gioco mediorientale, mira dunque a ritagliarsi sempre più il ruolo di ago della bilancia della regione, non ha mai assunto posizioni di sudditanza nei confronti dei potenti alleati dell’area, in primo luogo l’Arabia Saudita. Su Israele ad esempio non ha ceduto alla moral suasion di Riyad, sponsor per volere dell’ex presidente americano Donald Trump ma un po’ paradossalmente esso stesso non firmatario, degli accordi di Abramo, siglati invece da Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco. “Il Kuwait non ha rapporti diplomatici con Israele”, ha sottolineato l’ambasciatore, ricordando che il suo paese “ha sempre partecipato con impegno ai programmi di aiuto dell’Onu ai palestinesi anche quando altri Paesi arabi avevano cessato di farlo; e non ha mai smesso”. Comunque, ha aggiunto, “non si può che guardare con favore a tutte quelle iniziative in grado realmente di stemperare la tensione sia nella Penisola arabica che in tutto il Medio Oriente, creando un clima diverso con Tel Aviv”.
Costruttivi anche i rapporti che il Kuwait intrattiene con la Cina, insieme alla quale, ha riferito l’ambasciatore, nel 2018, l’allora emiro Sabāḥ al-Aḥmad al-Jāber Āl Ṣabāḥ (scomparso lo scorso settembre) ha concluso una serie accordi bilaterali di cooperazione economica, relativi, soprattutto, al progetto di Pechino della nuova “Via della seta”. Accordi strategici che si inseriscono nel programma di sviluppo Kuwait Vision 2035, che mira a diversificare le risorse della piccola potenza del Golfo, la cui maggiore ricchezza è costituita dal petrolio, e a trasformare il paese, in uno hub commerciale e finanziario globale, in grado di attrarre gli investitori stranieri. L’emirato ha tutte le carte in regola insieme ad una buona reputazione e un forte grado di affidabilità per coltivare questa ambizione: gode di una posizione geografica chiave, è l’unico paese del Golfo ad avere un Parlamento pienamente eletto con ampi poteri e capacità di licenziare i ministri, ha un sistema giudiziario che funziona e ha sempre espresso posizioni moderate in politica estera.
Ma molteplici sono i passi che sul cammino delle riforme lo attendono per dare attuazione ai suoi obiettivi: dovrà dotarsi di nuove infrastrutture, svecchiare la sua legislazione, aumentare la produttività di settori non petroliferi, migliorare gli standard di vita dei cittadini ma anche dei suoi lavoratori stranieri, incentivare il settore privato ad accrescere li investimenti, elevare la qualità delle risorse umane, promuovere la sostenibilità ambientale e incrementare la qualità del sistema sanitario. Sono proprio questi i pilastri su cui poggia Kuwait Vision 2035, un sogno che si fonda anche sui rapporti che l’Emirato ha saputo intrecciare sulla scena internazionale in questi 30 anni che sono passati dall’invasione irachena conclusasi il 28 febbraio 1991 con il ritiro dell’esercito di Saddam Hussein dal suo territorio, grazie anche all’intervento militare, avvenuto con l’imprimatur delle Nazioni Unite, di una coalizione di 34 paesi. Tra essi anche l’Italia, con la quale la cooperazione da allora non si è mai fermata. “Auspichiamo -ha detto l’ambasciatore- che il vostro paese partecipi con un ruolo importante al nostro programma, ad esempio nello sviluppo del commercio e delle energie rinnovabili anche sulla base dell’accordo entrato in vigore tra Italia e Kuwait nel 2012 che riguarda diversi settori, quello tecnologico, scientifico, informatico”. Ma in Kuwait Vision 2035 c’e’ anche posto per il turismo, l’arte, la cultura e la ricerca. E l’emirato che ha cuore i giovani, ha detto infine rappresentante diplomatico, intende incoraggiare “ e lo faccio anche io personalmente, gli studenti kuwaitiani a venire a studiare qui in questo bellissimo paese che è Italia, e quelli italiani a venire da noi, a conoscerci”.
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