di Guido Talarico
Comunque la si voglia guardare la disfatta dell’Occidente in Afghanistan scrive una pagina importante nella storia della politica estera del nuovo millennio. E’ vero, Kabul non è Saigon. In quel caso lo Zio Sam voleva allontanare il Vietnam dall’influenza comunista cinese, in Afghanistan invece hanno voluto semplicemente cessare una occupazione costosissima (circa 100 miliardi) e alla fine poco fruttuosa. Anzi, alcune ricostruzioni più indulgenti verso Washington sostengono che la ritirata – che comunque non doveva essere così drammaticamente fallimentare – è stata decisa proprio per lasciare ai confini di tre nemici storici americani (Cina, Russia ed Iran) una tana ben armata per i terroristi islamici che già da tempo infastidiscono i tre confinanti.
A Doha nel 2020, alla firma degli accordi con i Talebani, del resto già si scorgeva questa strategia perché anche il più ingenuo dei negoziatori non poteva non sapere che un Afghanistan sgombro dalle truppe occidentali sarebbe rapidamente finito sotto egida talebana e sotto influenza dell’Isis-K. Insomma, è abbastanza credibile che gli Usa abbiamo visto il blocco di un’emorragia economica sommata ad una spina conficcata nel fianco dei suoi nemici come due ottime ragioni per mettere fine ad una invasione ventennale, tirandosi naturalmente appresso come sempre l’Europa. Certo evacuare nel caos, con i talebani e i terroristi a festeggiare, e tradendo la fiducia di un intero popolo sono cose che non hanno giovato all’immagine di un paese abituato a dominare, anche mediaticamente, la scena internazionale. E altrettanto certamente lasciare il paese che produce il 90% dell’eroina mondiale in mano nemica non è una scelta felice.
Ma in realtà tutto questo è vecchio. Appartiene alle logiche geopolitiche del ‘900, quelle in cui prima con la propaganda, poi con le sanzioni ed infine, se necessario, con le armi gli Stati Uniti, con l’avallo degli alleati Europei, e, naturalmente anche i Russi, hanno perseguito i loro interessi economici e militari facendo il bello ed il cattivo tempo in mezzo mondo. Nella storia recente Iraq e Libia sono i casi più eclatanti e terribilmente infruttuosi di questo singolare metodo di esportazione della democrazia. Dunque, la vera pagina di storia che si è scritta nelle scorse settimane in Afghanistan è proprio quella che dice che questo modo di fare politica estera è finito.
Le nazioni non si sono mai mosse per generosità, ma sempre per calcolo. La difesa del proprio territorio, dei propri interessi, della propria prosperità del resto sono sentimenti che allignano profondamente nell’animo umano. Anzi lo connotano. Quello che fa oggi la differenza rispetto al passato è la sostenibilità. Gli occidentali sono scappati dall’Afghanistan perché era insostenibile rimanere lì ulteriormente. In primo luogo economicamente, poi anche forse tatticamente. Ecco, la nuova geopolitica, quella che determinerà i nuovi assetti del mondo, non potrà non tenere sempre di più in conto il tema della sostenibilità.
Quando nel 2015 più di 150 leader internazionali riuniti nella sede delle Nazioni Unite hanno approvato l’agenda 2030 fissando 17 obiettivi di sviluppo sostenibile – obiettivi che mirano a porre fine alla povertà, a lottare contro l’ineguaglianza, alla pace e allo sviluppo sociale ed economico – puntavano evidentemente proprio a questo. A voltare pagina. Insomma, la storia afghana insegna che il destino dei popoli non si può più perseguire a colpi di cannone. Ci vorrà ancora del tempo a farlo capire bene a tutti, ma la strada è segnata.
A brevissimo, un luogo dove potremo verificare se le cose stanno cambiando velocemente è il Corno d’Africa. Qui, nel silenzio generale, si sta vivendo ancora una guerra vecchio stile. Una guerra strisciante ma vera, dove una minoranza, quella guidata dai tigrini del TPLF, quella che ha guidato l’Etiopia fino all’avvento del Premio Nobel per la Pace, Abiy Ahmed, utilizza i fondi segreti frutto di vecchie indebite appropriazioni per destabilizzare il territorio nella speranza di riconquistare il potere grazie agli aiuti dei vecchi alleati americani ed europei. In questa area così delicata e cruciale per il futuro dell’Africa vedremo se la lezione afghana sarà stata sufficiente. Se gli occidentali avranno capito che si possono perseguire i propri leggimi interessi senza sparare un colpo ma esportando lo sviluppo che porta al benessere e quindi alla democrazia. Oppure se vorranno considerare il Corno d’Africa ancora una volta come il cortile di casa propria, sentendosi liberi di calpestare i diritti all’autodeterminazione di un centinaio di milioni di persone.
La storia dice che il mondo si dovrà sempre di più governare con logiche basate sulla sostenibilità. Questo è certo. Da verificare ancora se la lezione afghana sia stata bene assimilata da Washington e Bruxelles. A giudicare da come si stanno muovendo in Africa, sembrerebbe proprio di no. Staremo a vedere.
(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati