Il boss è stato operato una seconda volta in pochi giorni e le sue condizioni di salute hanno reso necessario il trasferimento presso l’ospedale dell’Aquila. Nello stesso giorno è stato diffuso l’unico interrogatorio reso dal boss all’indomani dell’arresto. Un verbale di 70 pagine in cui Messina Denaro dichiara esplicitamente che non ha nessuna intenzione di pentirsi, che è stato catturato solo per colpa della sua malattia ma si difende e respinge diverse accuse: prima tra tutte quella dell’omicidio del piccolo Di Matteo
di Emilia Morelli
Del peggioramento delle condizioni di salute di Messina Denaro si era già saputo. L’ex latitante, paziente oncologico, nelle scorse settimane aveva subito un piccolo intervento ma era rientrato nell’istituto di pena in giornata. Poi, il peggioramento delle sue condizioni ha reso necessario un ricovero all’ospedale dell’Aquila, nel reparto di chirurgia. “Le sue condizioni non sono compatibili con il carcere duro, deve essere assistito 24 ore al giorno”, ha detto il suo avvocato. E’ stato poi nuovamente operato. Si prospetta certamente una degenza non breve.
Nello stesso giorno della notizia del suo trasferimento è stato diffuso il verbale dell’unico interrogatorio reso di fronte al procuratore capo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, all’indomani dell’arresto. “Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, ma voi mi avete preso per la mia malattia“, ha esordito e scandito il boss, arrestato lo scorso 16 gennaio dopo una latitanza durata 30 anni, Matteo Messina Denaro.
In ogni caso nel corso delle 70 pagine di verbale Messina Denaro seppur ha escluso ogni possibilità che di pentimento è apparso desideroso di scagionarsi da alcune accuse mosse nei suoi confronti. Prima tra tutte quella dell’omicidio del piccolo Giuseppe di Matteo, figlio del pentito rapito, strangolato e sciolto nell’acido dopo 25 mesi di prigionia. Secondo la ricostruzione di Messina Denaro lui è il mandante del solo sequestro del bambino. “Ascolti, io non sono un santo… Allora lui dice che ad un tratto, in un paese, non so dove, ci incontriamo: lui, Giuseppe Graviano – un Graviano, non tutti e due – Bagarella ed io e dice “Là si decide di sequestrare questo bambino, per fare ritrattare il padre”, ci siamo fino a là? Allora che succede? Che… quello che dirò ora non è importante per lei e va bene così, io dico: ma che c’entro io con le cose di San Giuseppe Jato e di Altofonte, che sono a fianco? Io di Trapani sono, ma facciamola passare. Le mi insegna che un sequestro di persona ha una sua finalità, che esclude sempre l’uccisione dell’ostaggio, perché un sequestro a cosa serve? Ad uno scambio: tu mi dai questo ed io do l’ostaggio; ma prendi anche un ostaggio ora, anche nei sequestri per soldi, se lei non ha la prova dell’essere in vita della persona, non è che mi dà soldi, quindi il sequestro non è mai finalizzato all’uccisione, io credo, di quello che capisco della vita. Sequestrano questo bambino – quindi io sono come mandante, mandante del sequestro – sequestrano questo bambino, lui non dice che c’ero io; ci sono altri pentiti, non lo dicono nemmeno. Ad un tratto arrestano prima a Graviano e poi al Bagarella, quindi di questo discorso che dice lui, di quattro diventiamo due. Vero è che lui dice che aveva due covi nella provincia di Trapani, giusto? Quindi addossandola a me, due covi, ma due covi per sequestro, non per ammazzare a qualcuno. Ad un tratto lui resta solo in tutta questa situazione, passa del tempo, un anno/due anni, dice- lui dice – si trova davanti la televisione ed il telegiornale dà la notizia… che lui era stato condannato all’ergastolo per l’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo, ci siamo?”. Sarebbe stato Giuseppe Graviano a telefonare al fratello che si trovava nel bunker dove poi fu ucciso il piccolo Di Matteo. “Impazzisce, prende il telefono e telefona a suo fratello e ci dice, in siciliano: “Alliberati du cagnuleddu”. Lui lo dice, non è che lo dico io. Quindi già lui… dà ordine di uccidere questo ragazzino, bambino. Lui poi si fa… si parte, va nel covo di San Giuseppe, scende laggiù e c’era suo fratello ed altri tre affiliati a loro; dei tre, io mi ricordo il cognome di uno, un certo Chiodo, gli altri due non penso, però sono tutti e cinque pentiti. Che dicono tutti e cinque? Che il bambino lo ha ucciso Vincenzo Brusca; quando arrivò lui, lo hanno sciolto nell’acido. Punto. Alla fine andò a finire che ‘sto bambino l’ho ammazzato io, dovunque c’è un inferno per “stu bambino e nessuno, dico, si prende… anche per un fatto di onestà, dice… Decise tutto lui, per l’ira dell’ergastolo che prese. Ed io mi sento appioppare un omicidio, invece, secondo me mi devono appioppare il sequestro di persana; non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, per una questione di principio. E poi a tutti… cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido ed alla fine quello a pagare sono io?” Il boss di Castelvetrano aggiunge che non ha motivi di raccontare cose non vere : “Mi ascolti, procuratore, mi ascolti, non ho più niente da perdere nella vita, anche perché sto perdendo la vita stessa, però voglio che… desidero che mi rimangano i miei principi, giusti o sbagliati che siano”.
Nel corso dell’interrogatorio Messina Denaro racconta degli ultimi anni della sua latitanza. “Allora, se voi dovete arrestare tutte le persone, eh, eh – scusi se rido, ma è diventata poi una barzelletta – che hanno avuto a che fare con me a Campobello, penso che dovete arrestare da due a tremila persone, di questo si tratta”. Come sappiamo a Palermo, per poter usufruire delle cure, il boss utilizzava l’identità di Andrea Bonafede “a Campobello no, perché io a Campobello posso essere Andrea Bonafede che lo conoscono tutti? Allora mi sono creato un’altra identità: “Francesco”, giusto? Che abita a Palermo, ma che ha una mamma e due zie anziane, malate e ci sono badanti, sorelle, in modo… che avevo una casa qua. E mi gestivo così: io giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare…”
Parlando di Andrea Bonafede il boss si esprime sul reato del “concorso esterno” e tenta di difendere il geometra che gli ha prestato l’identità e consentito di accedere alle cure. “L’hanno arrestato (Andrea Bonafede, ndr) per favoreggiamento e perché è mafioso riservato… Il mafioso “riservato” è tipo un altro argomento di legge, se vogliamo dire, farlocco, come “concorso esterno”, io preferire, se fosse una mia decisione: tu favorisci… il favoreggiamento prende da 4 a 5 anni, se favorisci un mafioso sono 12 anni; meglio così: si leva il farlocco di torno.
Un altro punto su cui si sofferma Messina Denaro è quello del messaggio vocale mandato in onda in più trasmissioni televisive. “Sono bloccato nel traffico per le commemorazioni di sta minchia” aveva detto il boss riferendosi al traffico per la commemorazione della strage di Capaci. Messina Denaro ci ha tenuto a spiegare che l’insulto non era alla memoria del giudice Falcone ma al modo di organizzare la commemorazione.
Matteo Messina Denaro, nel ribadire che non ha alcuna intenzione di pentirsi, ha smentito di aver trafficato droga, ha ammesso solo quello che non poteva negare: il possesso della pistola, la corrispondenza con Bernardo Provenzano, la vita da primula rossa scelta per difendersi dallo Stato che lo accusa “ingiustamente” e poco altro.
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