Il mondo si trova di fronte a una crescente instabilità geopolitica, con focolai di tensione e conflitto in Ucraina, Gaza, il Corno d’Africa e anche in estremo oriente. Una situazione esplosiva dettata da ambizioni smodate e da leadership deboli
di Guido Talarico
Il segretario alla Difesa del Regno Unito, Grant Shapps, ci ha recentemente messo in guardia sul rischio che il mondo possa essere travolto da guerre globali che vedano in campo grandi potenze nemiche dell’occidente come Cina, Russia, Corea del Nord e Iran. Ha anche spiegato che il tutto potrebbe accadere nei prossimi cinque anni. E’ veramente così? Davvero corriamo il rischio di finire nel mezzo di una terza mondiale? Il solo scriverlo inquieta. Ma sono in molti a pensarla effettivamente come Shapps. Questa visione, non catastrofista ma razionalmente preoccupata, si inserisce in un contesto globale dove il timore di una terza Guerra Mondiale emerge prepotentemente tanto nelle analisi degli esperti che nella coscienza pubblica ed è alimentata dall’evoluzione negativa di tanti conflitti regionali: quello ucraino e mediorientale in prima istanza, ma anche quelli meno evidenti come in Taiwan o nel Corno d’Arica.
C’è anche chi prova a rassicurare, come Hugh Lovatt, esperto del European Council on Foreign Relations, sostenendo che non ci stiamo ancora dirigendo verso una guerra mondiale. Tuttavia, anche lui, in una delle sue ultime uscite pubbliche, ha ammesso che il disordine internazionale attuale e le tensioni in tante aree, ma soprattutto in Ucraina, Medio Oriente e nell’Asia-Pacifico, sono motivo di grave e crescente preoccupazione. Il conflitto che sta devastando Gaza, e le coscienze di milioni di persone da una parte e dell’altra della barricata, ha provocato una escalation regionale drammatica, con l’Iran che è scesa in campo direttamente attaccando Israele e provocando la risposta di Tel Aviv.
Il panorama internazionale è stato poi ulteriormente complicato proprio dalle azioni belliche iraniane, che hanno spinto Israele a promettere e servire risposte decise, sebbene alleati come i principali paesi europei, tra i quali l’Italia, il Regno Unito e gli Stati Uniti invochino costantemente la moderazione. Sul fronte Russo le cose non vanno affatto meglio. L’invio di truppe NATO in Ucraina, è considerato da quasi tutti gli osservatori come un passo estremamente pericoloso che potrebbe avvicinare come non mai dal 1945 ad oggi il rischio di un conflitto globale. Il ministro degli esteri ungherese Péter Szijjártó, che in Europa è tra i più vicini a Mosca, ha espresso forte preoccupazione in proposito, sottolineando la necessità di evitare azioni o dichiarazioni che potrebbero far precipitare il mondo verso una guerra devastante. La sua è sembrata più una minaccia che una nota di cautela.
Del resto la posizione dell’Ungheria, che ha mantenuto stretti contatti con Mosca anche dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, riflette la complessità delle dinamiche internazionali attuali. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán si è persino congratulato alquanto platealmente con il leader russo Vladimir Putin per la sua recente rielezione, nonostante le consultazione elettroali siano state ampiamente giudicate come l’ultima farsa dello Zar.
E su questa scia, come dicevamo, vanno inserite le tensioni degli Stati Uniti contro la Corea del Nord e contro Taiwan – e quindi con la Cina – e anche conflitti come quello già in atto nel Corno d’Africa dove le smanie neo imperialiste del Premier Ahmed Abiy stanno scatenando una terribile guerra civile che contrappone tutte le etnie dell’area e le nazioni limitrofe come l’Eritrea e la Somalia. Un conflitto, quest’ultimo, che potrebbe produrre milioni di vittime e così destabilizzare l’intero continente giovane, provocando epocali ondate migratorie verso l’Europa.
In questo scenario oggettivamente assai teso si inseriscono due ulteriore elementi di preoccupazione. Il primo è quello nucleare. Mai come oggi il rischio anche banalmente di un incidente e di una bomba “sporca” è molto alto. E non c’è bisogno di dilungarsi per capire quali conseguenze produrrebbe un uso del nucleare, anche quello “tattico” di cui si parla ormai con una certa frequenza, a livello mondiale. Poi c’è un tema più strettamente europeo ed italiano. Ma noi come continente e come nazione siamo preparati alla guerra? Abbiamo armi ed eserciti capaci di tutelarci? Gli esperti sono alquanto concordi. Abbiamo il cappello Nato che è ampio e solido. Ma può non bastare, soprattutto se una America targata Trump dovesse andare al potere e, come già preannunciato, ridurre la sua disponibilità militare verso gli alleati. In questo caso dovremmo correre velocemente ai ripari. Il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha fatto chiaramente capire che oggi come oggi l’Italia da sola non sarebbe in grado di fronteggiare minacce belliche importanti.
In questo contesto turbolento, inquietante, pericoloso il mondo si trova dunque a un bivio cruciale, dove la diplomazia e la moderazione sono più necessarie che mai per evitare che le tensioni regionali sfocino in un conflitto su scala globale. La storia non depone a nostro favore. Le situazioni di crisi che stiamo vivendo ricordano in qualche dettaglio quelle che precedettero i conflitti mondiali del 900. La sfida per la comunità internazionale, ma, direi, per noi tutti, è dunque quella più ovvia: far tacere le armi e ricercare la pace a tutti i costi. Il Papa lo ricorda ad ogni Angelus e così fanno quasi tutti i leader internazionali. Ciò nonostante ora ci vediamo costretti a danzare sull’orlo del baratro, restando incapaci di quel sacrificio, di quel compromesso che possa far cadere ogni tensione. Segno inequiviocbile di una classe politca globace accecata dagli interessi di parte ed incapace di affermare politiche di sviluppo pacifiche e condivise. Uno degli slogan pacifisti più efficaci diceva che “tutto ciò che la violenza può fare, la pace può fare di meglio”. Una verità semplice che chi oggi ha in mano le leve di controllo dell’ordine mondiale non sembrano riuscire ad attuare e forse neppure a capire.
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